Aliquota del 44% : prime pronunce

Prime pronunce della Corte dei conti

sulla questione dell’aliquota del 44% di cui all’art.54 del D.P.R. n.1092/1973

 

  A distanza di un anno circa dall’insorgere del dibattito circa l’applicabilità della aliquota del 44%, di cui all’art.54 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092, per il calcolo della quota di pensione retributiva spettante al personale militare soggetto al sistema c.d. misto, è possibile fare un primo punto di situazione alla luce di alcune pronunzie della Corte dei conti che si sono espresse sulla questione, non senza però averne prima richiamato brevemente i termini.

  La problematica interessa il solo personale militare collocato in quiescenza o che lo sarà (e quando lo sarà), che, al 31.12.1995, aveva maturato almeno 15, ma meno di 18 anni di servizio utile, e che quindi ha o avrà la pensione determinata con il sistema c.d. misto, vale a dire: con il vecchio metodo retributivo, per gli anni di servizio fino al 31.12.1995; con il metodo contributivo (montante contributivo maturato, rivalutato e moltiplicato per il coefficiente di trasformazione collegato all’età del lavoratore), per gli anni di servizio successivi.

  Si tratta, grosso modo, degli arruolati negli anni 1981-1982.

  Il quesito che si pone rispetto al suddetto personale è quello dell’aliquota da impiegare per determinare la quota di pensione retributiva spettante.

  Nel previgente sistema, l’art.54 del D.P.R. n.1092/73 prevedeva, per il calcolo della pensione (interamente retributiva) spettante “al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile”, l’applicazione dell’aliquota del 44%, “aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”, mentre l’art.44 dello stesso D.P.R. stabiliva, per il calcolo della pensione spettante “al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo”, l’applicazione della inferiore aliquota del 35%, “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile”.

  Le riforme pensionistiche succedutesi dal 1992 in poi non hanno abrogato e, quindi, hanno lasciato vigenti le due suddette disposizioni.

  Tant’è che, ancora nel 2009, l’I.N.P.D.A.P., nel fornire istruzioni operative alle proprie strutture territoriali in occasione del subentro nella gestione delle attività pensionistiche del personale militare e militarizzato, non aveva dubbi nel precisare che: “Il computo dell’aliquota di pensione spettante al personale militare è disciplinato dall’art.54 del Testo unico secondo cui la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, aumentata di 1,80 per cento per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

  Successivamente, tuttavia, l’I.N.P.S., subentrato dal 1° gennaio 2012 all’accorpato I.N.P.D.A.P., ha ritenuto e ritiene, che la quota di pensione retributiva spettante al personale militare vada calcolata come per il personale civile, e cioè applicando l’aliquota del 35% – e non quella del 44% – “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio” prestato fino al 31.12.1995. Ad avviso dell’Istituto previdenziale, infatti, l’art.54 sarebbe stato e sarebbe riferibile alla sola fattispecie di cessazione dal servizio con “almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile” e non anche a quella di prosecuzione del servizio, dopo aver maturato quell’anzianità.

  In altri termini, secondo l’I.N.P.S., l’art.54 del D.P.R. n.1092/73 sarebbe norma dettata, a suo tempo, al fine di rendere possibile l’erogazione di un congruo trattamento di pensione a favore del personale militare venuto a trovarsi in condizione di dover lasciare il servizio anzitempo (15/20 anni di servizio utile) e, pertanto, non potrebbe trovare applicazione al personale che abbia invece proseguito il servizio oltre il 20° anno.

  Questa interpretazione ha trovato avallo, nell’anno appena concluso, in due pronunzie della Corte dei conti, una della Sezione giurisdizionale per la Lombardia, l’altra della Sezione giurisdizionale per la Sardegna, che, nel respingere l’opposta pretesa dei ricorrenti, hanno affermato che la suddetta disposizione non riguarda chi è “cessato dal servizio con un’anzianità contributiva superiore ai venti anni” (cfr. Corte dei conti Sardegna, sentenza 20.06.2017, n.87; Corte dei conti Lombardia, sentenza 27.06.2017, n.95, resa in sede di ottemperanza).

  La stessa Corte dei conti della Sardegna, tuttavia, ha rivisto il proprio orientamento con la recentissima sentenza n.2/2018, depositata il 04.01.2018, nella quale, “melius re perpensa”, è pervenuta all’opposto convincimento che l’interpretazione sostenuta dall’I.N.P.S. sia da respingere, in quanto porta a privare di significato l’art.54, il quale, se al primo comma prevede che “l’aliquota ivi indicata vada applicata a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni”, nel comma successivo aggiunge anche che “la percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.

  Ad avviso della Corte sarda, infatti, la lettura combinata dei primi due commi dell’art.54 conduce logicamente a ritenere che “la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’INPS), atteso che esso (art.54, al secondo comma) prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo” e, dunque, “la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione”.

  La conclusione, che appare condivisibile, trova sostegno anche nel fatto che, come rileva ancora la sentenza n.2/2018, l’art.1, comma 12, della legge 31.12.1995, n.335 (c.d. Legge “Dini”) stabilisce espressamente che la “quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 (va) calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data” e la disciplina anteriormente vigente per il personale militare era ed è, appunto, quella di cui agli artt.52-63 del D.P.R. n.1092/1973 e non quella di cui agli artt.42-51 dello stesso Testo Unico, relativa al personale civile, non applicabile, allora come ora, al personale militare, essendo questo destinatario di specifica normativa.

  A diverso risultato, non pare poter condurre neanche l’argomento, pure sostenuto dall’I.N.P.S. ed ugualmente respinto dalla sentenza della Corte sarda, che l’art.54 troverebbe applicazione per le sole pensioni calcolate interamente con il sistema retributivo e non anche per quelle calcolate con il sistema misto.

  Infatti, delle due l’una: se l’art.54 e la relativa aliquota è applicabile per le sole pensioni calcolate interamente con il sistema retributivo, altrettanto vale per l’art.44 e la relativa aliquota; se invece l’art.44 e la relativa aliquota sono ancora applicabili, come dimostra il fatto che l’I.N.P.S. pianamente ne fa applicazione – persino a chi, come il personale militare, non ne era destinatario –, allora anche l’art.54 e la relativa aliquota sono ancora applicabili e da applicare.

  L’ulteriore argomento di contrasto opposto dall’Istituto previdenziale è insomma confutato nella sua fondatezza dalla intrinseca contraddittorietà che gli è propria, restando incomprensibile perché la normativa del previgente sistema retributivo dovrebbe considerarsi vigente solo in parte e nella parte che non concerneva e che risulta sfavorevole al personale militare interessato.

  Nei prossimi mesi, si vedrà se l’orientamento della Corte sarda sarà seguito anche da altre Sezioni giurisdizionali regionali e, soprattutto, se troverà conferma nelle Sezioni Centrali d’Appello della Corte dei conti.

  Per il momento, comunque, la sentenza n.2/2018 ha già avuto il merito di far emergere le incongruenze della posizione dell’I.N.P.S. e di incrinare tesi che, d’ora in poi, l’Istituto previdenziale avrà forse più difficoltà a far accogliere, risultando sorrette più dall’ormai consueto intento di risparmio di spesa, che da solide ragioni giuridiche.

Studio legale Coronas